Il salvataggio delle immagini è stato disabilitato, perché le stesso sono soggette a diritti d'autore.
Chiedete comunque a info@aidama.it, l'associazione è lieta di poter essere d'aiuto e di farsi conoscere con le proprie opere ed immagini.

il festival di Chelles degli italiani

Data: 2019-03-11   >

Resoconto della 39° edizione del Festival de l’image projetée di Chelles, 2019

 Venerdì 8 marzo Serata “Grandeur Nature”

La serata di venerdì 8 marzo, dedicata alla natura, è stata aperta dal montaggio audiovisivo “Mer primordiale” di Cristina Noacco. La presentatrice, che mi ha subito incaricata di presentare i lavori italiani presentati, mi ha chiesto di spiegare brevemente il mio montaggio. Qualcuno mi ha fatto capire che l’ha trovato bello ma lungo, come Claudio e Francesco mi avevano già detto a proposito del montaggio precedente, della stessa durata (12’), che aveva aperto l’edizione 2018 del festival. Prometto di stringere i tempi.

È stata poi proiettata la multivisione “Comme une caresse” di Luigi Dorigo, che era stata presentata per la prima volta in Italia all’edizione 2017 di Fantadia. Grandissimi applausi alla fine della proiezione. Chiamato al microfono, insieme a me come traduttrice, Luigi ha potuto spiegare che le immagini della sua multivisione sono state realizzate in una zona incolta molto ristretta, delimitata dai monaci benedettini, nei dintorni di Treviso, zona di produzione del famoso prosecco. A volte non serve quindi viaggiare molto: per scoprire piccole meraviglie: basta chinarsi a guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda. La multivisione di Luigi ha ricevuto il premio del pubblico per la sezione Natura. Complimenti vivissimi a Luigi, che è stato travolto dai complimenti di molte persone, che gli hanno chiesto informazioni sui brani musicali utilizzati e su altri dettagli tecnici.

Anche “Visions”, di Alessandra Masi, un lavoro di macrofotografia, ha riscosso molto successo. Speriamo che prima o poi Alessandra si unisca alla famiglia AIDAMA.

A seguire abbiamo potuto ammirare la multivisione realizzata da Franco Toso: “Bio Photo Contest. Déserts, rochers et éboulis”. Non mi è stato chiesto di intervenire, per cui non ho detto niente alla fine della proiezione, ma le meravigliose immagini parlavano da sole. Qualcuno ha trovato che il lavoro, di 21’, era un po’ lungo e che mancava una storia, ma si sa che i francesi sono legati (fin troppo) alla narrazione. Le immagini hanno lasciato tutti a bocca aperta e il lavoro è stato apprezzato moltissimo, anche per le scelte musicali.

Dopo la pausa abbiamo potuto perderci (nel mio caso il termine non è esagerato: mi ero davvero immersa in quel mondo e ho avuto difficoltà ad uscirne) nell’atmosfera ovattata della multivisione “La nebbia-Le brouillard” di Luciano Laghi Benelli. Questo lavoro illustra una poesia in dialetto romagnolo di Laura Turci. I francesi erano dispiaciuti di non capire il senso del testo dialettale, né quello dei sottotitoli in italiano. Ma hanno trovato molto suggestivo, nelle immagini, il connubio fra i paesaggi collinari e la nebbia che li avvolge.

L’ultimo lavoro italiano e aidamino della serata è stato “Arôme en suspens” di Domenico Drago. Immagini sottomarine sublimi, associate a un testo profondo (è il caso di dirlo, non tanto perché riguarda il mare, ma perché l’ha composto il nostro poeta Mimmo!), a una scelta musicale appropriata e, soprattutto, alla mano maestra di Francesco Lopergolo, autore della multivisione, hanno assicurato lo scroscio di applausi che ha seguito la proiezione. Complimenti vivissimi a Mimmo e a Francesco!

 Sabato 9 marzo pomeriggio. Proiezioni. “Les rencontres de l’image projetée”

Il ricco programma del pomeriggio si è sviluppato in 4 cicli di proiezioni, dalle 14.00 alle 18.00.

La prima multivisione aidamina ed essere proiettata è stata “L’hiver appelle mes yeux”, di Diana Belsagrio. Il mondo onirico e la grande capacità di introspezione di questa realizzatrice, a partire da poche, belle immagini, mi ha portato a far segno alla presentatrice alla fine della proiezione: ho voluto insistere su questi aspetti, che rendono accessibile a chiunque la realizzazione di una multivisione di grande effetto, purché si abbia ben preciso il messaggio che si vuole trasmettere, come nel caso di Diana. Il suo lavoro è stato molto apprezzato.

Quando è stato proiettato il lavoro di Francesca Gernetti, “De mes yeux à tes yeux”, non avevo ancora ricevuto la mail di Francesca, nella quale mi chiedeva di informare gli organizzatori del fatto che aveva mandato loro anche le versioni francese e inglese della sua multivisione. Alla fine della proiezione, la presentatrice mi ha guardata e io ho semplicemente detto che non conosco l’autrice del lavoro. Mi sono subito pentita, perché avrei potuto parlare della ricerca estetica ed emotiva dell’autrice, tra l’astratto e lo sperimentale (luci d’auto in movimento all’interno di un tunnel), che esprime la domanda profonda di Francesca: come fare per far vedere all’altro ciò che percepiamo con i nostri occhi? L’intervento che ha seguito la multivisione italiana seguente mi ha permesso di colmare la frustrazione, commentando questo lavoro originale.

“Mnemosine”, del Gruppo fotoamatori Sestesi Gieffesse propone un itinerario all’interno di una casa abbandonata e ripercorre la storia degli abitanti, come se un autore la stesse scrivendo a macchina, ricostruendo la trama dei ricordi. Una scia rossa che accompagna la corsa di una bambina indica che è la protagonista della storia, o che i ricordi affiorano attraverso di lei. Questa multivisione mi ha fatto riflettere e così, alla fine della proiezione, ho fatto cenno alla presentatrice per esprimere un commento. Ho fatto notare che lo stile amato dai francesi è narrativo, con una voce recitante durante il percorso fotografico, mentre gli autori italiani di solito preferiscono lasciar parlare le immagini. La differenza fra i due stili è quella che si può osservare fra la narrazione letteraria e la poesia: da un lato una storia, dall’altro una serie di suggestioni o frammenti che lo spettatore è chiamato a ricomporre secondo la sua sensibilità. Questo lavoro mi è parso situarsi a metà strada, perché la macchina da scrivere fa pensare allo sviluppo di una narrazione, ma gli sguardi dei personaggi, i dettagli della casa e la corsa della bambina sono componenti di una storia che lo spettatore può riscrivere a suo piacimento, a seconda della sua storia vissuta e interiore. L’intervento ha ricevuto un applauso e da qui in poi tutti quelli che ho fatto. Beati francesi: amano proprio sentir parlare… Spero solo che gli autori non penseranno che l’ho fatto a sproposito! La pausa alla fine della prima parte ha permesso ai presenti di dialogare. Jean-Louis Terrienne, un autore francese, mi ha confidato che hanno ragione gli italiani. Secondo lui i francesi non confidano abbastanza nelle loro immagini e parlano per coprire la loro incertezza (se non addirittura la loro incompetenza) a livello fotografico. Così facendo provano la loro debolezza. Secondo lui bisogna fidarsi sia dell’immagine che dell’immaginario dello spettatore. Certo, ha aggiunto, praticare l’arte della suggestione non è facile. E secondo lui ci vuole sempre una parte di realismo nel lavoro, per permettere allo spettatore di entrare nel mondo dell’autore.

“Una vita di scatti”, di Giacomo Cicciotti, è uno splendido omaggio al fotografo Mauro Galligani, brevissimo (30’’) e intensissimo. Prima della proiezione la presentatrice ha lanciato un: «Vediamo se quello che ha detto Cristina è vero?» e non mi ha ripassato il microfono alla fine, perché non c’era niente da aggiungere. Bravissimo Giacomo!

È venuto poi il momento di “Senza titolo n° 4” di Edoardo Tettamanzi. Pensavo di conoscere questo lavoro di Edoardo e invece credo di averlo visto a Chelles per la prima volta. Alla fine della proiezione ho potuto fare un breve commento. Ho innanzitutto presentato i saluti del presidente dell’Associazione Italiana di Autori di Multivisioni Artistiche, autore della multivisione e grande ammiratore del festival. Ho spiegato che i presenti avrebbero potuto pensare che si tratta dell’ennesimo lavoro sperimentale italiano, e sappiamo quanto piaccia a Edoardo fare ricerca. Ho detto loro che forse la frase che compare a metà multivisione avrebbe potuto offrire loro, se l’avessero capita, una delle possibili chiavi di lettura dell’opera: «La domanda si trova verso ciò che va oltre. La risposta si trova nel cuore dell’umanità». Non è allora un caso se la maggior parte delle immagini di questa multivisione sono state realizzate durante la biennale di architettura, dal momento che questa manifestazione cerca soluzioni nuove per convivere meglio sul nostro pianeta, mentre il numero degli abitanti cresce in maniera esponenziale e vertiginosa. Si tratta di una multivisione che fa della ricerca sperimentale multivisiva uno strumento di ricerca per colmare una domanda esistenziale. La creatività del nostro presidente non si smentisce!

La multivisione sui colori, le forme geometriche e le architetture del Marocco”, “Inshallah” di Gaetano Anzalone e Fosca Lucarini è piaciuto molto per l’intreccio tra passato e presente, storia e realtà. Interessante l’associazione fra le maschere dinamiche e le linee utilizzate per la composizione della multivisione (alla Tibaldi) e le forme geometriche dell’arte araba. Complimenti alla coppia Anzalone!

All’interno della quarta e ultima serie di proiezioni del pomeriggio abbiamo potuto ammirare “Echos lointains” di Mario Costa. Alla fine della proiezione ho commentato di nuovo il valore suggestivo, più che descrittivo, delle immagini dei lavori italiani. Conoscendo l’amore per la musica dell’autore e la sua peculiarità rispetto alla maggior parte degli autori di multivisione, mi è sembrato giusto spiegare che molti di noi sono felici e fieri di poter annunciare, alla fine della proiezione, che sono gli autori di tutte le immagini utilizzate. Altre volte sono ancora più contenti se possono dire che anche i testi pronunciati o inseriti nel lavoro gli appartengono. Ma quanti possono, come Mario Costa, annunciare che sono anche gli autori della musica utilizzata nella loro multivisione? Ho attirato l’attenzione sui titoli di coda, dove, dopo il nome di un coro di montagna, Mario ha indicato il titolo del brano musicale che ha composto per questo suo nuovo lavoro. Non sono in tanti a poterlo fare. Per concludere, mi sono chiesta e ho detto al pubblico che sarebbe interessante sapere come lavora Mario: compone prima la musica e poi pensa alla successione delle immagini o, per comporre la musica, deve prima inventare un canovaccio di storia da illustrare musicalmente? Immagino che comunque la musica sia, come sempre, soprana. Bravissimo!

Sabato 9 marzo. “Soirée de Gala”

La serata di gala del festival ha visto proiettati tre altri lavori italiani, più “Comme une caresse” di Luigi Dorigo, che ha ricevuto il premio del pubblico per la sezione Natura. Il premio del pubblico per le proiezioni a tema è stato “Faskrudsfjordur”, di Corentil Legall, un tolosano che ho conosciuto ad altre serate di multivisione a Tolosa. Il montaggio audiovisivo “L’autre” di Yvonne Faivre e Maurice Ricou ha rivevuto invece il premio Chelles 2019 (un premio riattivato dopo tanti anni di assenza).

Dopo il tradizionale concerto-proiezione che ha aperto la serata di gala, la prima proiezione proiettata è stata “Cette maison” di Diana Belsagrio. Questa multivisione, che conoscevo in una versione senza i brevi testi in sovrimpressione che la accompagnano, è un nuovo viaggio nel mondo onirico di Diana. È stata applaudita da una sala ben riempita (erano presenti 350-400 persone). Complimenti!

Subito dopo è stata proiettata la multivisione “Bio Photo Contest. Prairies, steppes et savanes” di Diana Crestan. Undici minuti di fotografie da concorso (i nomi dei 300 autori circa scorsi nei titoli di coda sono quelli dei migliori fotografi naturalisti viventi!), ben organizzate in capitoli molto suggestivi, dai fiori e dagli insetti ai mammiferi più imponenti, dalle zone più desertiche a quelle più ricche di fauna. Un capolavoro in termini di fotografia, coronato da un buon lavoro di montaggio.

L’ultima proiezione italiana della serata è stata “Urban Silhouettes” di Francesca Gernetti, che ha confermato il lavoro di ricerca dell’autrice e la sua capacità di far sorgere l’emozione da immagini che potrebbero sembrare a prima vista poco eloquenti, come in un teatro d’ombre cinesi.

Non ho potuto commentare i lavori italiani della serata, perché non sono previsti interventi durante quella che è una vera e propria cerimonia di chiusura del festival.

Tirando le somme: su 36 lavori proposti, 16 sono di autori italiani e 14, se non sbaglio e tenendo conto del primo conteggio di Edoardo, di autori AIDAMA.

Scherzando con qualcuno del pubblico, si diceva che un tempo pochi italiani partecipavano a questo festival. Oggi sono sempre più numerosi e forse un giorno ci saranno solo loro!

Mi sono sentita molto onorata a commentare, quando potevo farlo, i lavori degli autori italiani presentati. Spero davvero di aver interpretato bene lo spirito di ognuno. In futuro, in caso di impossibilità di vivere in prima persona questa ricca esperienza audiovisiva, invito gli autori delle proiezioni selezionate a mandarmi qualche spunto per potere, se lo desiderano, parlare al loro posto. Inversamente, possono fare esplicita richiesta che non si parli in loro assenza.

Infine, chi desidera ricevere il programma cartaceo della 39° edizione del festival, può mandarmi il suo indirizzo postale a questa mail: cnoacco@yahoo.fr

Sarò felice di poterglielo spedire.

Un caro saluto a tutti e grazie ancora per le vostre opere multivisionarie, che permettono di guardare il mondo anche con i vostri occhi.

«E tu, cos’hai visto?» chiederebbe Francesca.

Cristina Noacco

I commenti sono chiusi